La Napoli esoterica raccontata da Jakin

L’originalità napoletana ha trasferito il culto della cura del corpo dei defunti degli antichi egizi al culto delle anime “Pezzentelle” custodite nell’ipogeo della seicentesca chiesa di Santa Maria delle anime del Purgatorio ad Arco del XVII secolo, sita in via Tribunali.

A Napoli la relazione diretta con l’anima scavalca il limite del tempo della vita e penetra in quello che oltrepassa la vita, attraverso rituali dove la “Pietas” popolare mostra tutte le sue più profonde sfaccettature, prendendosi cura di crani senza nome .
Un sito analogo è il cimitero delle “fontanelle”, unico al mondo,sito in una cava di tufo al rione Sanità,uno dei più ricchi di storia e tradizioni appena fuori dalla città greco-romana. Nel cimitero delle fontanelle, dalla peste del 1656 vennero ospitati i circa 40.000 resti delle vittime dell’epidemia, ad esso è legato il rito delle “capuzzelle” ossia l’usanza di venerare il cranio di uno dei morti di identità ignota al quale chiedere servigi e favori, dal quel momento la capuzzella diventava parte integrante della famiglia e le venivano riservate cure e preghiere, rituale oggi perpetuato ma ufficialmente vietato.
IL Triangolo ed i suoi misteriosi poteri,contraddistinguono il centro storico di Napoli caratterizzato da chiari rimandi alla civiltà egizia. Sei edifici nel cuore della città formano due triangoli magici ed al loro interno custodiscono simboli massonici legati agli antichi egizi. La statua del dio Nilo e cappella Sansevero uniscono la chiesa del Gesù Nuovo, la chiesa di San Lorenzo Maggiore e la chiesa di santa Maria Maggiore .
Il numero tre per la cultura cristiana è numero perfetto, ma è anche il numero che da l’idea dell’ascesi dell’uomo verso il trascendente e poi il triangolo con la punta in su simboleggia il sesso maschile ed il fuoco, con la punta in basso sta a significare il sesso femminile e l’acqua, l’equilibrio dei due triangoli è dato dalla loro unione nella forma dell’esagramma stellato ovvero la grafica del sigillo di Salomone composto dall’incrocio di due triangoli .
La cappella San Severo situata nel cuore della Napoli antica, rientra nel culto egiziano, infatti il progetto del principe Raimondo di Sangro prevedeva l’antico tempio di Iside che sorgeva a poca distanza. La cappella è uno scrigno d’arte dove al centro troneggia il Cristo velato di Giuseppe Sammartino e cattura lo sguardo il velo che ricopre il Cristo morto, un velo di marmo che sembra fatto di tessuto con le sue fattezze morbide e soffici. La leggenda vuole che la morbidezza del velo non sia dovuta all’abilità dello scultore ma da attribuire ai poteri esoterici del principe Raimondo di Sangro, che sarebbe stato in grado di solidificare con un liquido di sua invenzione tessuti e persino organi del corpo. Il Canova dichiarò che pur di appropriarsi di quell’opera avrebbe rinunciato a dieci anni della sua vita. Due scheletri pietrificati con tutto il sistema cardiovascolare , le famose” macchine anatomiche” realizzate dal medico palermitano Giuseppe Salerno sono le presenze più enigmatiche della cava sotterranea . Le statue e gli affreschi che adornano la cappella sono di sorprendente bellezza, e disposti secondo la struttura del tempio massonico. La “Pudicizia velata” e il “disinganno” due opere, una l’opposta dell’altra dedicate alla madre ed al padre del principe e poi la tomba del principe il cui elogio funebre situato sulla grande lastra marmorea non è inciso ma, in rilievo grazie ad una tecnica elaborata con diversi solventi chimici del principe stesso.

La pavimentazione labirintica della cappella,si inquadra perfettamente nell’ itinerario progettato dal principe per il tempio gentilizio, simboleggia il difficile ed intricato itinerario che l’iniziato deve percorrere, alla fine del quale c’è la conoscenza. La volta della cappella dipinta da Francesco Maria Russo, rappresenta la gloria del paradiso, il centro della scena è dominato da un triangolo ed una colomba, il triangolo è la Trinità dei cristiani, la pitagorica nascita cosmica ed il massonico segno del maestro venerabile.
Ancora nel cuore antico della città partenopea un cinquecentesco edificio tra fantasmi e leggende, palazzo Sansevero. In una notte dell’ Ottobre del 1590, palazzo Sansevero fu oggetto di uno dei più efferati delitti d’onore accaduti a Napoli. La morte di Maria D’Avalos e del suo amante, il duca d’Andria Fabrizio Carafa per mano del marito di lei, il madrigalista Carlo Gesualdo principe di Venosa. I due cadaveri furono esposti al pubblico ludibrio nudi e sanguinanti all’ ingresso del palazzo. Palazzo che fu acquistato in seguito e debitamente restaurato per cancellare l’orrendo delitto, dalla famiglia di Sangro di Sansevero. Condannata al dolore eterno, il fantasma della bellissima Maria si dice vaghi da allora ogni notte per le buie stradine di San Domenico Maggiore.
L’unica testimonianza dell’architettura civile del periodo “angioino-durazzesco” l’abbiamo con palazzo Penne ai banchi nuovi a pochi passi dal largo San Giovanni Maggiore dal quale si dirama poi Santa Chiara. Palazzo Penne nasconde un inaspettato mistero, è conosciuto come “il palazzo del diavolo”, infatti la leggenda narra che il palazzo venne costruito in una sola notte con l’aiuto del diavolo. L’edificio apparteneva ad un colto borghese, Antonio Penne, che lo fece costruire nel 1406 su richiesta della sua promessa sposa, con la precisa clausola, da lei pretesa, che venisse costruito in una sola notte pena l’annullamento della promessa di matrimonio. Ritenendo che l’impresa fosse assurda,e non volendo rinunciare alla sua amata, il Penna pensò bene di rivolgersi al diavolo, il quale in cambio del risolutivo aiuto che avrebbe fornito, pretese l’anima del suo richiedente. A lavoro ultimato, Antonio, con uno stratagemma fece si che il diavolo cadesse in un pozzo all’interno del palazzo per restare ivi imprigionato per sempre, forse questa la ragione per cui non si è mai riusciti a restaurare quel palazzo.

Jakin

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