Un viaggio gastronomico nella cucina napoletana dal ‘700 fino ai giorni nostri – Jakin racconta

Un viaggio gastronomico nella Napoli del '700 fino ai giorni nostri.
Dall'ascesa di Carlo di Borbone fino alla salita al trono del Regno delle Due Sicilie di Re Ferdinando IV ( '800) denominato dai napoletani “Re Lazzarone”, la cucina napoletana prese forma in maniera definitiva. Il popolino potè permettersi finalmente di mangiare un po’ di più grazie alle botteghe ed ai venditori ambulanti che, smerciavano quello che oggi è riconosciuto come lo Street food più buono e amato al mondo, il cibo da strada che costava poco.

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Ippolito Cavalcanti, duca di Buonvicino , fu cuoco e letterato napoletano nonchè l’autore del trattato “Cucina teorico pratica”, pubblicato nel 1837 ,nella seconda edizione del 1839 fu aggiunta un appendice “ cusina casarinola co la lengua napolitana” dove furono presentate numerose ricette , provenienti dalle diverse classi sociali , come la parmigiana di melanzane,la pizza fritta,i vermicelli con le vongole, i vermicelli al pomodoro, il baccalà fritto,la pasta e fagioli,la pasta e piselli, la minestra maritata,la pasta cacio e uova. Delle ricette del Cavalcanti riportiamo quella del sartù di riso :
Prendi un rotolo e mezzo di riso ma che sia di quello forte ( il rotolo o ruotolo era una unità di peso del Regno delle due Sicilie e corrispondeva in Sicilia a gr 790 mentre a Napoli a gr 890 per la precisione Kg 0, 8909972) , lo lesserai nel brodo ed in mancanza anche nell’acqua sia pure per economia , perché vuole lo stesso. Quando il riso sarà cotto ma non scotto ci porrai un terzo ,ossia once undici(circa gr 300) di panneggiano( formaggio ) o di caciocavallo ed un pane di butiro(parola spagnola che indica il burro) purchè non lo avrai cotto nel brodo ci farai un battuto di dodici ovi e mescolerai tutto ben bene; indi farai raffreddare questa composizione e poscia prenderai la casseruola proporzionata per formare il sartù facendoci una inverniciata di strutto con una uguale impellicciata di pan grattato , poscia ci porrai del riso già intiepidito e con una mescola leggiermente lo adatterai facendoci un concavo nel mezzo ove porrai il solito raguncino che più volte ti ho detto per i timpani : al di sopra ci porrai l’altra metà del riso e con le mani l’accomoderai in modo che vada tutto bene incassato , facendoci al sopra una ingranita di pan grattato con de’ pezzettini di strutto; gli darai la cottura come al timpano con la pasta facendoci anche buco in mezzo come a quello, versandoci poi uno o due coppini di sugo.

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La cucina napoletana, così solare, spettacolare e fantasiosa entrò nella letteratura con Matilde Serao, giornalista e scrittrice napoletana dell’800, che nel suo libro “Ventre di Napoli” descrive in maniera ampia e pittoresca alcune ricette della classe napoletana più povera, quali la zuppa di meruzze e la zuppa di cozze con le freselle e brodo di polpo, cibi venduti per strada , perché mentre la borghesia contribuva a coniugare la tradizione con la raffinatezza della cucina nobiliare , divennero celebri personaggi tipici dell iconografia napoletana, quali i maccarunar, folcloristici venditori di un piatto di pasta fatto con ingredienti poveri e venduto per strada a due o tre soldi (o’ roie e maccarun) , il sorbettaro che vendeva per strada sorbetti fatti con acqua, zucchero, limone e tanta neve, la neve che veniva conservata nelle “nevere” e utilizzata nei periodi caldi per raffreddare le bevande, oppure per la creazione di “gelato artigianale” il sorbettaro metteva in una casseruola di rame con coperchio , detta “sorbettiera” i tre ingredienti : l’acqua, lo zucchero ed il succo di limone, la immergeva poi in una bacinella d’acqua, neve e sale, girando finchè il sorbetto non raggiungeva la giusta consistenza.Il franfelliccaro,( dal francese fanfreluche, sono quegli zuccherini tipici che si trovano sulle bancarelle durante le feste patronali) l’acquaiolo “ acquaiò è fresca l’acqua?”chi a Napoli non conosce questo modo di dire. Napoli è una città costantemente baciata dal sole , per questa ragione, nelle zone più popolate era solito sorgere qualche chioschetto pronto a distribuire acqua per pochi spiccioli. Le fonti di rifornimento degli acquaioli erano quella di Santa Lucia e quella di Serino.
. Anche la penna di Giuseppe Marotta nella commedia del 1954 “l’oro di Napoli” con Eduardo De Filippo ne scrisse e poeti come Salvatore Di Giacomo hanno immortalato piatti, invenzioni, protagonisti e carattere.

Jakin

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