Pratica collaborativa, mediazione familiare e negoziazione assistita – informazioni legali: l’avv. Brandi risponde

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Le strade alternative al contenzioso per la gestione del conflitto familiare

1)
Introduzione
Non molto tempo fa, mentre mi accostavo alla Pratica Collaborativa, mi sono più volte chiesta se effettivamente il processo potesse essere un modo per risolvere le controversie.

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La risposta a questo quesito mi è arrivata poco tempo dopo: “il processo definisce una controversia ma non la risolve”.
Definire è cosa diversa dal risolvere. Il conflitto non muore con la decisione del giudice. La sentenza giurisdizionale a volte alimenta, addirittura, il conflitto: perchè risveglia il rancore o perchè dà fiato alle rivendicazioni.
Niente di più vero. Specie nell’ambito familiare è difficile governare le relazioni interpersonali.
La Pratica Collaborativa si propone di farlo e in maniera sorprendentemente semplice: esorta le parti e i rispettivi avvocati a sedersi intorno a un tavolo e a perseguire l’obiettivo comune di non far diventare processuale la vicenda, l’obiettivo comune è quello di trasformare il conflitto. Nessuna trattativa ma solo soluzioni.
In questo modo, più dell’80% dei casi approdati a un tavolo collaborativo, viene risolto con successo. Sembra quasi magia invece è realtà, una realtà forse troppo poco conosciuta in Italia.
2)
La Pratica Collaborativa
la Pratica Collaborativa, è basata sui seguenti principi fondamentali:
a) la buona fede (o meglio, correttezza).
Costituisce una regola cardine di comunicazione e di comportamento durante la negoziazione collaborativa, sia per le parti che per i professionisti.
b) la trasparenza.
A tutti i componenti del tavolo collaborativo, viene imposto l’obbligo, posto contrattualmente a carico di ciascuna parte, di condividere con l’altra qualsiasi informazione o documento rilevante a prescindere da una specifica richiesta.
c) la riservatezza.
Le informazioni e i documenti condivisi durante il percorso collaborativo sono riservati e quindi non potranno essere utilizzati in un eventuale successivo giudizio.
d) il mandato limitato.
Gli avvocati non potranno assistere le parti in un eventuale futuro giudizio che le veda contrapposte.
Tali principi e obblighi, caratteristici della Pratica Collaborativa, sono tutti inseriti nell’Accordo di Partecipazione, sottoscritto dalle parti e dai loro difensori all’inizio del percorso collaborativo, ove questi ultimi si rendono garanti degli impegni assunti dai rispettivi assistiti.
3)
La Pratica Collaborativa in ambito familiare
La Pratica Collaborativa nasce come metodo non contenzioso di soluzione del conflitto familiare; è per il contesto della famiglia che è stata pensata e inizialmente sperimentata.
Il conflitto familiare non è particolarmente diverso da ogni altro tipo di conflitto, se non per un elemento in particolare: la parte con cui confliggiamo è di solito qualcuno con cui abbiamo condiviso una parte significativa della nostra vita, con la quale abbiamo fatto scelte importanti. Il conflitto familiare coinvolge quindi le sfere più intime e profonde di ogni persona e di conseguenza spesso è molto più doloroso e faticoso da attraversare.
Per questi motivi, il processo contenzioso come metodo di gestione e soluzione del conflitto familiare si è dimostrato spesso non adeguato a tutelare tutti gli interessi delle persone coinvolte e le conseguenze dannose sono emerse soprattutto rispetto ai minori.
Fondamentale è il ruolo dell’avvocato rispetto alla modalità di risoluzione dei conflitti. Ci si basa, infatti, sulla costruzione del consenso mediante l’aiuto dei rispettivi difensori piuttosto che sulla decisione imposta dall’autorità.
La Pratica Collaborativa in ambito familiare é una procedura in cui le parti, coniugi, partner, genitori ecc., assistite necessariamente ciascuna da un proprio avvocato ed eventualmente, a seconda delle necessità e delle specificità del caso, entrambe da un esperto di relazioni familiari e/o da un commercialista e/o da uno specialista del bambino, s’impegnano ad individuare soluzioni soddisfacenti per entrambe e per i rispettivi figli, vincolandosi al rispetto di alcune basilari regole mediante la sottoscrizione dell’Accordo di Partecipazione, il quale, oltre a far propri i principi precedentemente esposti, prevede che:
1. il conferimento dell’incarico a tutti i professionisti sia limitato all’assistenza delle parti, secondo le diverse competenze, per il raggiungimento dell’accordo sulle questioni oggetto della procedura Collaborativa con l’espresso divieto per tutti loro, avvocati e altri professionisti del team collaborativo, di assistere quelle parti in successivi giudizi contenziosi che le stesse intentassero eventualmente fra loro sullo stesso oggetto della procedura Collaborativa;
2. completezza, trasparenza e riservatezza delle informazioni che le parti si impegnano a scambiare reciprocamente nell’ambito della procedura Collaborativa;
3. attiva partecipazione delle parti a tutta la procedura Collaborativa secondo modalità improntate al rispetto, all’ascolto e alla comprensione reciproca.
È importante comunque precisare che, all’inizio della procedura, sarà sempre l’avvocato a dover aiutare il cliente a scegliere fra le varie opzioni procedurali offerte dal nostro sistema giuridico (Mediazione Familiare, Pratica Collaborativa, Trattativa Tradizionale, Contenzioso), non sulla base delle preferenze del professionista ma sulle necessità del cliente e del caso (ad esempio, la capacità del cliente a partecipare, la capacità di comunicare, il livello di fiducia fra le parti), avvertendolo dei prevedibili vantaggi e dei possibili svantaggi di ciascuna delle procedure.

4)
Pratica Collaborativa e Mediazione Familiare
Fatta la doverosa premessa che sarebbe più corretto parlare di Mediazioni Familiari il contesto di mediazione è formato dalle parti e dal mediatore, senza l’assistenza e la copresenza degli avvocati, ai quali le parti sono inviate nei momenti in cui sia opportuna una consulenza di carattere legale o sia necessario, al termine del percorso di mediazione, redigere un atto legale da presentare davanti all’autorità giudiziaria. Durante il percorso di mediazione familiare, salvo questi momenti, gli avvocati sono invitati a mantenersi defilati nel rispetto della cd. “tregua giudiziaria” che non si riferisce solo alle iniziative giudiziarie vere e proprie ma comprende anche l’intervento stragiudiziale. La mediazione familiare è uno strumento alternativo al processo che si occupa della riorganizzazione delle relazioni familiari, in special modo per quanto attiene all’esercizio della co-genitorialità, nella separazione e nel divorzio. Essa propone alcune finalità principali, articolate su specifici obiettivi. Le finalità principali sono:
– offrire un contesto strutturato in cui il mediatore possa sostenere la comunicazione tra i partner ai fini della gestione del conflitto e a vantaggio della capacità di negoziare su tutti gli aspetti che riguardano la separazione;
– favorire i genitori nella ricerca delle soluzioni più adatte alla specificità della loro situazione e dei loro problemi per tutti quegli aspetti che riguardano la relazione affettiva ed educativa con i figli. Il mediatore familiare si pone come terzo imparziale rispetto alle parti, in atteggiamento neutrale non schierandosi né con l’uno né con l’altro ma, al contrario, essendo al tempo stesso sia con l’uno che con l’altro.
Nel nostro ordinamento, la mediazione familiare non è regolamentata ma è stata dapprima presa in considerazione dalla giurisprudenza e poi riconosciuta dal legislatore che ha dato un importante rilievo alla mediazione familiare quale procedura preventiva all’adozione dei provvedimenti giudiziali riguardo ai figli, finalizzata al raggiungimento di accordi volti ad una più efficace tutela dell’interesse dei minori. Il ruolo del mediatore familiare, sia nella mediazione volontaria che in quella delegata dal giudice (art. 337 octies c.c.) è quello di un professionista che opera in piena autonomia, su incarico delle sole parti e non del giudice, con la funzione di facilitare il raggiungimento di un accordo che, ove conseguito, potrà essere formalizzato nelle opportune sedi giurisdizionali. Di talché, l’accordo raggiunto dalle parti in mediazione dovrà poi essere oggetto dell’appropriato procedimento atto a conferirvi giuridica efficacia. I principi propri della Pratica Collaborativa, creano un clima e un ambiente ove le parole chiave sono: fiducia, buona fede, trasparenza, formazione specifica dei professionisti e lavoro in team, principi completamente assenti nella mediazione familiare.
5)
La negoziazione assistita
La negoziazione assistita è stata introdotta in Italia dalla legge 10 novembre 2014 n. 162 che ha convertito il D.L. 12 settembre 2014 n. 132. La legge sulla negoziazione assistita, nella parte relativa alla materia familiare, comporta una modificazione dello status dei coniugi senza passare dai tribunali. È stato quindi smantellato il dogma della necessaria tutela giurisdizionale costitutiva in tema di status. La negoziazione assistita può essere utilizzata in materia familiare, e ciò presenta indubbi vantaggi: si possono evitare il procedimento giurisdizionale con risparmio di tempo, costi e minor disagio per le parti, che possono ottenere la separazione o il divorzio in modo alternativo al giudizio. Inoltre il ricorso alla negoziazione assistita in alcune materie è obbligatorio prima di intraprendere un giudizio, mentre la Pratica Collaborativa è, per sua natura, una procedura volontaria. Anche alcuni aspetti procedurali sono comuni: le parti si assumono l’impegno di cooperare con buona fede e lealtà, vi sono degli incontri in cui sono presenti le parti e i rispettivi avvocati e, nell’accordo finale le parti possono inserire le condizioni della loro separazione o del loro divorzio. Si è osservato, inoltre, che la disciplina della negoziazione assistita può definirsi una “scatola vuota” che le parti e i loro legali possono riempire con diversi contenuti. Ne consegue che la Pratica Collaborativa può utilizzare lo schema normativo della negoziazione assistita per evitare il procedimento giurisdizionale.
l. del 10 novembre 2014 nr. 162 art. 1
d.l. del 12 settembre 2014 nr. 132 art. 1

Avv. Giuseppe Brandi

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