“Le sudate carte” recensione di libri rubrica a cura di Lorenzo Aulo Rufo dei Tifatini – Sorgo rosso di Mo Yan

Mo Yan, Sorgo rosso, pubblicato da Einaudi nella collana Einaudi Tascabili. Sorgo rosso di Mo Yan non può essere semplicemente definito un romanzo.
E’ piuttosto un mito, un’epopea, una storia narrata in prima persona ma come racconto dapprima custodito e poi da tramandare.

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I protagonisti sono altri, forse uno è il principale, o forse due, o forse tre, o forse tanti, tutti quelli che entrano a far parte di questo immenso baule della memoria.

Si apre il coperchio ed ecco che compaiono, come vecchi album di fotografie, apparentemente uno sull’altro secondo un ordine o un criterio, ma ben presto, andando avanti nello sfogliare le sue pagine, ti accorgi che sei finito tra le scatole cinesi, sono una nell’altra, un po’ come le matrioske, ma a differenza sia delle bambole che delle scatole, non si va dalla più grande alla più piccola, ma si entra e si esce da ciascuna senza rispettare forme e dimensioni e senza alcun criterio cronologico.

La storia, anzi le storie, hanno un flusso discontinuo, iniziano ma in realtà l’inizio si viene a sapere dopo, non finiscono oppure mentre sembra che sono finite, riemergono con nuovi dettagli e particolari che aggiungono, collegano una vicenda ad un’altra, un personaggio ad un altro.

Così accade che ognuno muore ed il lettore pensa di avere chiuso un album, magari si rammarica all’idea che quel personaggio che gli era diventato caro, scompare dalla storia, ma dopo avere sfogliato altre pagine, con altre storie, altri personaggi, altre epoche, ecco che all’improvviso ricompare chi non te l’aspettavi, quel personaggio morto tre o quattro o anche sei album prima, che improvvisamente prorompe, vivo e vegeto a riprendere la sua storia. E’ davvero la soffitta dei ricordi, tutti vividi, ricchi di colori, suoni, odori.

Le parole necessarie a sviluppare il racconto, un’infinità di parole, ti avvolgono.
A volte raggiungono livelli di immensa poesia, metafore meravigliose e dolcissime, a volte raccontano l’amore, altre volte sono truci e sanguinolente, come i fatti che vengono narrati.

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Poi raccontano le leggende e gli uomini e donne leggendari che li hanno prodotti e poi ti conducono in una Cina rurale, lontana dalle città dell’epoca in cui si svolgono i fatti ed ancor più dalle metropoli cinesi di oggi. Viene raccontata una Cina eroica, ipocrita, bugiarda, fedifraga, mariuola, assassina, mistica, superstiziosa, credulona, sciocca, furba.
In alcuni passaggi riesce difficile non andare con la mente a Marquez, con la sua folla caotica di personaggi e figuranti che popolano i suoi romanzi.
Potrei continuare all’infinito tante sono le sfaccettature delle vicende e dei personaggi del libro e questo è il motivo per cui l’ho definito un mito, un’epopea.

La storia ti prende , ti delude per poi improvvisamente tornare ad entusiasmarti, ti coinvolge fino a commuoverti ed a farti rabbia, le emozioni dei personaggi del libro diventano le tue emozioni e ti trascinano nelle povere case, nelle campagne, lungo i fiumi, ma sempre trovandoti in mezzo a sterminati campi di sorgo quasi sempre rosso, maturo, fonte di vita, di ricchezza, di ebbrezza, di felicità, ma anche custode di atrocità, di amori consumati, di enormi quantità di cadaveri, di atti di eroismo, di paura, di incertezza.

Il sorgo, muto spettatore di una leggenda meravigliosa.
In due parole il libro racconta le gesta del bandito Yu Zhan’ao, della sua famiglia e della sua discendenza.
Bellissima la quarta di copertina, che, in una mirabile sintesi, racchiude il senso, anzi per la precisione i molti sensi del libro.

Mo Yan nel bellissimo discorso che tenne quando gli fu dato il premio Nobel per la letteratura si definì un cantastorie: “Sono un cantastorie. Raccontare storie mi ha fatto vincere il premio Nobel. Molte cose sono successe dopo aver vinto il premio e mi hanno convinto che la verità e la giustizia sono in ottima forma. E così continuerò a raccontare le mie storie nei giorni che verranno”(cit.)

Recensione di: Ettore Sannino

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