“Gli anni” di Annie Ernaux – recensione a cura di Ettore Sannino

Gli anni di Annie Ernaux, gli anni appunto, la gente, i singoli individui, i personaggi famosi, gli avvenimenti, il corso del tempo, la storia del mondo, di una nazione, la Francia, di una città, Parigi, di piccoli paesi della provincia francese.

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Sotto gli occhi scorrono le immagini dei fatti che vanno dall’immediato dopoguerra fino ai giorni nostri scanditi da un ritmo del tempo dettato da un’immagine in una fotografia di una donna, dapprima bambina, poi adolescente, poi giovane donna e donna matura fino ad una donna ormai avanti negli anni.
E’ un fluire continuo, incessante, incontenibile.
Ricordi di avvenimenti epocali, ma anche vicende personali, ricordi di domeniche a pranzo in famiglia, la tavola dei bambini e del desiderio di diventare adulti per sedere a quella dei grandi, il primo sangue, le prime delusioni, i primi baci, la prima volta e poi le amiche e gli amici, il collettivo, i movimenti studenteschi, il maggio francese, la guerra in Algeria, le violenze della polizia, il Generale De Gaulle, Mitterrand, Chirac, Anquetil ed il Tour de France, Flaubert e Merimee e Vian e De Bevoire e Simone Signoret ed Yves Montand che gioca a bocce e molti molti altri, ed il cinema, il teatro, la famiglia, l’insegnamento, gli aborti clandestini, il divorzio, l’AiDS, la liberalizzazione dei costumi sessuali, la caduta di tante barriere culturali, morali, sociali, l’immigrazione.
Si potrebbe andare avanti all’infinito tanti sono i temi e le situazioni affrontate negli anni e narrate secondo un flusso di coscienza che costruisce la storia.

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E’ una vita, certamente quella di chi scrive, ma è anche la vita di tante altre donne, forse di tutte le donne che hanno davvero vissuto in questi anni.
E’ un mettere a nudo la propria coscienza, le idee, gli ideali, le contraddizioni, ma è anche un mettere a nudo la coscienza collettiva, in una scrittura tutta al femminile, sebbene in alcuni passaggi è anche la mia vita, la vita di molti uomini, tutti gli uomini e questo fa sì che mentre in alcuni momenti della lettura la fatica di proseguire sembra prendere il sopravvento e ci si chiede fino a che punto queste cose possano continuare ad interessare, ad un tratto c’è qualcosa attrae, richiama l’attenzione, incuriosisce e quasi impone di andare avanti.
Continuare a leggere diventa necessario e come un atleta che prende i ritmo della sua corsa, ci si accorge di non affaticarsi più a starle dietro in questa scrittura così prorompente ed apparentemente asettica e la lettura diventa veloce ed agevole, non c’è da soffermarsi se non per consultare fonti allo scopo di capire i numerosissimi riferimenti di cui è cosparso il testo.
Per il resto non c’è da capire, sono quadri, immagini che scorono davanti agli occhi, che non richiedono una particolare interpretazione o interazione, ma semplicemente di osservare e questo è sufficiente perché rimangano impresse.
Ovviamente non tutto, solo quello che evidentemente ed individualmente interessa, colpisce o tocca perché magari appartiene ad un vissuto comune.
La paura di doverlo lasciare, di non avere più voglia di leggerlo è scomparsa, ora c’è curiosità, interesse, partecipazione e si va avanti per portare a termine questo viaggio che non è tanto nei luoghi fisici, quanto nel tempo, nelle memorie collettive, negli anni.
Nelle ultime tre pagine c’è tutto il senso del libro e la parola d’ordine è SALVARE!
Salvare la memoria di luoghi, persone, affetti, attimi di vita per custodire e tramandare il ricordo o semplicemente per urlare al mondo di avere vissuto.

Recensione a cura di Ettore Sannino

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